• Home
  • Comunicazione
  • Eventi
  • Giornalismo
  • Grafica
  • Leadership
  • Marketing
  • Advertising
  • Uffici Stampa
  • Social
  • Case History
  • Comunicazione
  • Eventi
  • Giornalismo
  • Grafica
  • Leadership
  • Marketing
  • Advertising
  • Uffici Stampa
  • Social
  • Case History

C’era una volta… la favoletta dello storytelling

20 Gennaio 2019

Chi mi conosce lo sa: sono sempre stato freddo (direi gelido) sia sulla moda dello storytelling (le storie, che da sempre sono una delle basi del lavoro dei giornalisti, sono tutta un’altra … storia) sia sul primato dei social network (per carità, vanno fatti e seguiti, ma le maggiori risorse per me vanno messe nel “giardino di casa”, ovvero in tutto quanto sul web c’è di proprietario di un’azienda). Sostenendolo in convegni e discussioni, ho spesso preso solenni bacchettate dallo stuolo di pecore bianche che compone la schiera dei comunicatori italiani. Ma, per dirla col Poeta, «scusate, non mi lego a questa schiera: morrò pecora nera!». E i clienti che mi scelgono, penso lo facciano anche per questo.

Non posso, quindi, che plaudire ed inchinarmi a Paolo Iabichino, uno tra i pubblicitari più importanti d’Italia e che lo scorso anno ha vinto il premio di “Comunicatore dell’anno”, che nei giorni scorsi è stato intervistato dal collega Fabio Grattagliano per Il Sole 24 Ore (cercate e leggete il “pezzo”: ne vale la pena).

Sotto il titolo «Troppi social e poca creatività. I brand devono tornare a casa», in estrema sintesi Iabichino afferma la necessità per marchi e aziende di «tornare a casa e portare lì le persone, su spazi proprietari» affidando «i propri contenuti a magazine editoriali e piattaforme di contenuti digitali che recuperano i principi degli house-organ di una volta» con «la necessità e l‘urgenza di cambiare il racconto della marca e smettere di credere alla favoletta dello storytelling una volta per tutte».

Perché, e lo sappiamo tutti, la moda di questi anni (che sarà certamente dura a morire) ha fatto proliferare i fake, le community artatamente gonfiate a suon di acquisti di fan e like e i cosiddetti “influencer”, con il risultato che i più guardano all’apparire (cioè le visualizzazioni) piuttosto che all’essere (la reputazione).

Ecco perché, come ho detto recentemente a un amico/cliente, 30 persone che hanno letto un tuo approfondimento, valgono più di 1.000 profili che avrebbero (e sottolineo avrebbero) visualizzato un tuo post.

La reputazione non si compra. Può solo essere costruita con la forza dei contenuti (quelli veri, figli degli accadimenti) che, quando sono reali e non markettari, trovano diritto di cittadinanza anche tra i media.

…dimenticavo. Anche quanto ho scritto oggi è parte dell’articolata risposta che avete il diritto di ricevere quando vi chiedete: «ma perché sui media ci vanno sempre gli altri?» (se non siete reali, non diventate notizia).

Marino Pessina

Ceo Eo Ipso (www.eoipso.it)

brandmarkettarinotiziereputazionesocialstorytelling
Condividi

Advertising

Ti potrebbe interessare anche

Non solo follower: perché è importante avere i dati dei propri clienti?
8 Novembre 2021
Quanto devono essere grandi le immagini su Facebook?
27 Ottobre 2020
Social aziendali: vanno scelti con cura e seguiti
6 Luglio 2020

  • Post Recenti

    • Marketing e comunicazione non sono la stessa cosa
      19 Aprile 2025
    • Pubblicità comportamentale e ruoli dominanti dei Big tech. E' legale?
      4 Giugno 2023
    • I quattro errori più comuni delle aziende sui social
      7 Settembre 2022
  • Post Popolari

    • La beneficenza si fa e si dice, per essere copiata e diventare virale
      9 Gennaio 2019
    • Bastano 10 secondi perché un cliente formi la prima impressione sul vostro logo
      26 Febbraio 2019
    • Non si fa marketing per mettere su uno spettacolo, si deve essere al servizio del cliente e dell'azienda
      1 Gennaio 2011

© Copyright 2018 - Eo Ipso srl